
Ma cos’è l’arte digitale?
Una domanda che mi sento fare spesso, soprattutto in questi giorni in cui è esposta l’opera di Kapi Michalska, Wild Fragments, al Palazzo Fanzago di Pescocostanzo. Questo tipo di arte viene ancora guardata con un po’ di diffidenza, come se non fosse “vera”, perché siamo abituati a pensare che un pittore debba usare per forza tavolozza e pennello tradizionale. In realtà, l’arte digitale non è una cosa nuova: nasce già negli anni ’50 del Novecento, quando artisti e scienziati cominciarono a sperimentare con strumenti diversi, come i computer analogici. Uno dei primi pionieri fu Ben F. Laposky, che inventò l’oscillogramma, un apparecchio che gli permetteva di creare forme geometriche monocromatiche visualizzate su un oscilloscopio. Il risultato veniva poi proiettato usando un tubo catodico e le immagini ottenute erano curve eleganti, opere creative spesso impossibili da replicare esattamente. La sua ispirazione veniva dal costruttivismo e dal Bauhaus. Negli anni ’60 l’arte digitale crebbe sempre di più grazie all’arrivo dei computer veri e propri; ad esempio Harold Cohen, pittore britannico, sviluppò Aaroon, un programma basato sull’intelligenza artificiale capace di creare arte autonomamente. Negli anni ’70 anche una donna contribuì a questa nuova forma d’arte: Vera Molnàr, che mescola arte astratta e matematica dando vita a opere di computer art davvero innovative.
A partire dagli anni ’80, è arrivata la Computer Graphic Art grazie alla creazione di nuovi software per la grafica digitale, come Adobe Illustrator. Un esempio interessante è l’artista Laurie Anderson, che mescolava musica, arte visiva e performance usando le tecnologie digitali.
Con l’arrivo di internet e la diffusione dei computer domestici, l’arte digitale ha iniziato a espandersi rapidamente, trasformandosi in esperienze multimediali e installazioni interattive. Però, è stato solo con il nuovo millennio, tra il 2000 e il 2010, che è esplosa la net art: un movimento artistico che sfrutta internet come piattaforma creativa. Qui possiamo citare nomi come Olia Lialina, Rafael Lozano-Hemmer e Cao Fei, quest’ultima nota anche per il fenomeno di Second Life.
Dal 2010 al 2020 invece gli artisti hanno potuto vendere opere digitali uniche sotto forma di NFT, assicurando così l’unicità e la proprietà delle loro creazioni. Un caso famoso è Mike Winkelmann, che nel 2021 ha venduto il suo collage digitale Everydays: The First 5000 Days per circa 69 milioni di dollari.
Negli ultimi anni (2020-2025), l’arte digitale, ormai già affermata, conquista il mondo dell’arte ed è in continua evoluzione poiché è strettamente legata al processo di nuove tecnologie.
Ovviamente ho dovuto riassumere in pochissime righe tutto ciò che è connesso a questo nuovo, ma non troppo nuovo, approccio all'arte e volendo concludere in un'apertura verso di essa, che non è altro che un riflesso della nostra epoca, strettamente legata alle nuove tecnologie. Se la si utilizza creando, come ha detto il mio collega Francesco, stratificazioni ben studiate forse non si torna ai soliti cliché.
Nel caso di Kapi Michalska, artista che si muove nel panorama digitale, c’è continuamente un rimando alla matrice pittorica tradizionale. Ancor più stratificata è l’opera da lei creata a cura mia e di Giuseppe Melè per il Palazzo Fanzago del Comune di Pescocostanzo. Partendo da uno studio meticoloso delle nature morte, in particolar modo quelle di Daniel Seghers e di Andrea Belvedere, è riuscita a realizzare una composizione floreale che a tutti gli effetti rimanda al grande topos dell’arte. Kapi, però, utilizza, come gli artisti precedentemente citati, dei software, nel suo caso Procreate.
Michalska parte come pittrice “tradizionale”, ma questo non nega la sua grande maestria nel confondere gli spettatori, i quali si interrogano se le sue opere siano pittura a olio o qualcos’altro.
Sì, Kapi è qualcos’altro che va oltre la tradizionale tecnica artistica.
Testo a cura di Chiara Cesari