
Manifesto per una soglia percettiva tra Natura, Arte e Filosofia, attraverso l’osservazione dell’immagine di Ana Mendieta
Manifesto per una soglia percettiva tra Natura, Arte e Filosofia
Ci sono cose che non si spiegano.
Non nasce per esprimere qualcosa,
ma per far emergere ciò che già pulsa nel reale invisibile.
Non è spiritualità.
Non è arte.
Non è filosofia.
È una soglia.
Un’interferenza tra mondi che non si lasciano nominare.
L’Oracolo non costruisce un senso.
Lo lascia apparire.
Qui, la Terra non è solo sfondo o ambiente, ma evento.
Come in Merleau-Ponty, il visibile è sempre intriso d’invisibile.
Ogni presenza naturale — pietra, vento, luce — è un corpo in carne di percezione.
La materia non è muta: è già linguaggio.
Nel gesto dell’Oracolo si fa viva una fenomenologia selvatica, dove le cose non si presentano per l’uomo, ma a dispetto dell’uomo.
Il linguaggio, in Oracolo della Terra, non è espressione soggettiva, ma ferita e soglia.
Non dice. Evoca.
Heidegger ha scritto che il linguaggio è la casa dell’essere.
Ma qui la casa è stata scorticata: rimane il vento,
il muschio che cresce tra le lettere, l’incompiuto che parla meglio del compiuto.
Il progetto si muove in quello spazio che Agamben chiamerebbe potenza non attualizzata.
Non ciò che è,
ma ciò che potrebbe essere,
se solo avessimo occhi più larghi.
Ogni video è un’icona rovesciata.
Un segno che non si lascia leggere, ma sfiora.
Come in Aby Warburg, l’immagine non illustra.
Agisce.
L’acchiappasole appeso,
la pietra abbandonata nel bosco,
non sono oggetti estetici.
Sono forme di memoria animata.
Pathosformeln del mistero.
Interruzioni.
Impossibilità del tempo lineare.
I Verlan — presenze visive che sfuggono al linguaggio —
sono ciò che Deleuze chiamerebbe segni senza concetto.
Fenditure nella trama ordinaria.
Varchi nella regia del visibile.
In ogni Verlan si rivela un’altra direzione della realtà,
non alternativa,
ma intrecciata.
La logica non è duale, ma oracolare.
Non c’è A o B.
Ma il passaggio tra.
E in questo passaggio,
il sogno non è solo onirico.
È coscienza collaterale.
Oracolo della Terra non mostra.
Evoca.
Non interpreta.
Lascia sorgere.
Come in Roland Barthes, ogni immagine contiene un punctum:
un punto cieco che colpisce al cuore senza spiegarsi.
È lì che vive l’Oracolo.
Nell’interruzione.
Nella crepa.
Come nella tragedia greca, il linguaggio è sempre in ritardo sul destino.
E l’Oracolo non spiega nulla.
Ma parla solo quando il bosco è pronto.
Nessun nome.
Nessun io.
Nessuna firma.
Il volto sparisce.
La voce diventa impersonale.
Non è anonimato ma trasparenza percettiva.
L’autore si dissolve
perché il significato non venga deviato.È un atto oracolare, ma anche artistico.
Come in certa arte concettuale,
o nei riti senza officianti:
non conta chi apre lo spazio,
ma lo spazio che si apre.
Oracolo della Terra è un ecosistema simbolico.
Ogni gesto, ogni suono, ogni immagine crea un tessuto.
Un reticolo di segni, sogni e soglie.
Un linguaggio che non comunica.
Risuona.
Qui l’arte si fonde con il rito.
La percezione con il silenzio.
La filosofia con la terra.
È un progetto.
Un canale.
Un cammino.
Ma soprattutto:
è un portale in attesa di essere attraversato.
Testo di Vincenzo Varchetta https://youtube.com/@oracleoftheearth?si=Iu93QqWu7vTF5bNc
In copertina Ana Mendieta - Untitled. From the Silueta Series (1973-1977)