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Riflessione in prospettiva teologica e ‘contemporanea’ sul ‘San Sebastiano curato dagli angeli’ di Peter Paul Rubens


Bisogna riconoscere, talvolta, quando evitare «le forme più correnti e abituali» perché «sono esse le più difficili, ché occorre una grande e già matura forza a dar qualcosa di proprio dove si offrono in gran numero buone tradizioni» (R.M. Rilke 1929).

 

È con questa premessa che qui ci si limiterà a non fornire notizie storico-documentarie sulla tela con il San Sebastiano curato dagli angeli di Peter Paul Rubens (1577-1640), opera riferita al 1601-1602 e della collezione permanente delle Gallerie Nazionali Barberini-Corsini (qui per l’immagine e la scheda di catalogo pubblicata dalla già citata istituzione museale), di recente passata in mostra al Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli (marzo-luglio 2025) .

Molte e varie cose sono state dette e si continueranno a dire e confutare – poiché è questo l’avanzare della ricerca storico-artistica – e da qui, dunque, la scelta di fornire una descrizione di matrice iconografica e superare – e non ignorare – la soglia della materia per un’analisi dell’opera in ‘prospettiva teologica’ e contemporanea (per un approfondimento si veda Arte e Teologia, a cura di G. Albano, Napoli 2017, Eadem 2019, nonché i numerosi contributi di Jean Paul Hernandez SJ).

Ciò detto significa accedere ad un vano interiore che in niente – si badi – è una romantica e soggettiva fuga dal presente, ma anzi un tentativo e tensione alla comprensione dei temi della teologia, senza ignorare il ‘qui’ ed ‘ora’ delle cose – fatto non di rado guardato con diffidenza da chi è abituato alle pile di documenti, all’analisi delle maniere ed esercizi di attribuzionismo, in primis e inizialmente per l’autore stesso di questo breve scritto.

 

Ciò che Rubens qui dipinge non è - per chi scrive – fraintendibile: non è la sofferenza del martire Sebastiano, o meglio, non lo è più.

Una corda già abbandona la presa dell’avambraccio, forse appena slegata dal putto di destra che accorre in aiuto del compagno reggente invece un velo rigonfio di vento e in parte striato di sangue, pur senza macchiarsi, allorché quel sudario pare l’acqua che abbandona il proprio fiotto; quando lo stesso si apre e si sparge.

Un altro angelo è tutto teso a sbrogliare le corde intorno ai piedi e alla caviglia del santo, tant’è che sembra sentirlo farfugliare per l’intricato lavoro.

Non c’è sofferenza, non è una deposizione, non un’operazione che attenua il dolore: Sebastiano non è curato per non morire, di lì a poco subirà il secondo martirio e con questo vedrà Dio e, ricolmo dell’Eterno, ne sarà μάρτυς (mártys), testimone.

Sembra questa piuttosto la preparazione ad un’unione, dunque una comunione: gli angeli e i putti assistono il nuovo sposo dei cieli nei suoi preparativi nuziali.

Giace composta l’armatura ad un lato, nonché il disarmo operato come unica e sola condizione per il ritrovamento della pace, come fecero tante e altre figure beate, primo fra tutti re David (1Samuele 17, 43-46), come indicato dall’iscrizione alquanto nascosta e poggiata ai piedi del David con la testa di Golia scolpito dal Fanzago (1591-1678) per l’altare di Sant’Ignazio di Loyola nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli.

 

Per vedere l’opera:

https://barberinicorsini.org/opera/san-sebastiano-curato-dagli-angeli/


 Testo di Francesco Lomasto

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